«La qualità della fede in Dio» – XXIX domenica del tempo ordinario, domenica 16 ottobre 2022

Vediamo e partecipiamo facendoci sconvolgere il cuore dagli sterminati e quotidiani esempi di iniquità; di cattiveria gratuita – specie a danno di piccoli e innocenti –; di guerre e ingiustizie addirittura autorizzate da leggi pubbliche. E questo rischia di intaccare la nostra fede nel Dio Salvatore.

In tutt’altro modo – ma sempre scarsi di fede – troviamo i numerosissimi vescovi, sacerdoti, religiosi, cristiani laici che si accontentano di vivacchiare ingenuamente ricordando in modo nostalgico quelli che chiamano i «bei tempi». Oppure, la gran parte che si arrende nel dire: «Ormai va sempre peggio»; «Le vocazioni scarseggiano»; «Il matrimonio è diventato una burletta che si cuce e scuce per un niente»; «La gioventù di oggi è sorda, cieca alla fede e irreparabile». Eccetera.

Semplicemente, specie quando esprimono una convinzione profonda e assodata, tutte queste affermazioni sono bestemmie contro lo Spirito Santo di Dio e contro la vera speranza cristiana. La quale speranza non è ingenuità dell’«andrà tutto bene» (Gesù non l’ha mai detto, anzi), ma fiducia nella potenza trasformatrice della risurrezione (ovviamente, in chi è docile e – in un modo o nell’altro – si lascia trasformare).

Nel contesto della composizione del vangelo di Luca, la parabola è riferita alla situazione dei discepoli, che vivono in uno stato di prova e di persecuzione prolungata. Per i primi tre secoli del cristianesimo, chi si professava appartenente a tale «setta» (com’era ritenuta) rischiava letteralmente di perdere la testa per amore di Gesù. Mentre l’intervento di Dio, Giusto Giudice, si faceva attendere o sembrava quasi non arrivare mai.

Questa amara consapevolezza si riscontra anche in alcune preghiere dei Salmi: «Perché il Signore ritarda? Perché tace?». Questa è la domanda che tormenta i giusti oppressi nella storia del popolo di Dio (vedi il Salmo 44,23-25 «Svégliati! Perché dormi, Signore?»; Salmo 89,47 «Fino a quando, Signore, ti terrai nascosto: per sempre?»; Abacuc 1,2-3 «Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?»; Zaccaria 1,12 «Signore degli eserciti, fino a quando rifiuterai di avere pietà di Gerusalemme e delle città di Giuda, contro le quali sei sdegnato?»).

Nella prospettiva di Luca, l’interrogativo sul silenzio di Dio riguarda il ritorno glorioso del Figlio dell’uomo. La comunità cristiana domanda: «Signore, quando verrai?».

D’altronde, è necessario che i cristiani stessi compiano un’azione coraggiosa di conversione a Dio. Questo significa un totale cambiamento di prospettiva rispetto alla mondanità materialista o spiritualistica (sganciata dalla «carne» della salvezza), all’assolutizzazione errata delle realtà che passano. Imparare a discernere, a vagliare, a passare a setaccio i nostri pensieri, sentimenti, azioni: tutti questi sono orientati solo al nostro effimero «ben-essere» (happyness o quiete buddista) in questa vita o tengono in massimo conto il criterio della vita eterna?

L’orizzonte in cui si pone una preghiera coraggiosa e perseverante è proprio la fiducia illimitata e ardente nel Dio che salva.

Il «Come», «Quando», «Dove»… non è dato a noi saperlo. Ma, come cristiani, riceviamo in vasi d’argilla dei tesori che diventano responsabilità: essere pronti, desti, vigilanti nell’attesa.

Sant’Agostino diceva, in un latino essenziale, «Timeo Dominum transeuntem et non revertentem». Sono possibili almeno due traduzioni. Quella letterale «Ho timore del Signore che passa e non ritorna». Ma anche, più liberamente, «Temo che il Signore passi, io non lo riconosca ed egli non possa tornare». Tornano alla mente le vergini sagge e quelle stolte.

E che il nostro agitarci quotidiano o il nostro rimanere in poltrona per timore di sporcare la casa o rompere qualche bel vaso di fiori possa essere scosso fino alle fondamenta. Non possiamo trascurare il Signore che oggi ci interpella in modo speciale: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»

Almeno il mio, il tuo granello di senape, che – in Cristo – sposta le montagne.

Dal Vangelo secondo Luca (18,1-8)

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».